Johannes Antonius James Barge nacque a Semarang sull’isola di Giava, Indie-olandesi, il 27 gennaio 1884. Morì a Leida il 18 febbraio 1952.

Legatissimo a Johan Huizinga da un’amicizia di lunga data e diventò di sua figlia Laura, nata nel 1941, il padrino. Ambedue erano membri del club ‘De beentjes’ – Le gambine – al quale parteciparono altre tre persone: il giurista E.M. Meijers, l’oculista J. van der Hoeve e il teologo remonstrante G.J. Heering. Johannes A.J. Barge (1884-1952)L’amico Barge pronunciò l’elogio funebre del secondo funerale di Johan Huizinga, che avvenne dopo la Liberazione. Quella che segue è una traduzione in italiano.

Elogio funebre, 27 febbraio 1946

L’uomo, che oggi viene sepolto per la seconda volta, amava la sobrietà e la semplicità. Ogni ostentazione gli era estranea. Nessuna frase vanagloriosa uscì mai dalla sua penna e non cercò mai l’omaggio pubblico.

Il canto del merlo poteva interrompere la sua concentrazione; la tarda luce della sera gli era cara e, al di sopra della maestosità delle alte montagne e delle cascate scintillanti, apprezzava la bellezza senza pretese del paesaggio olandese come lo vedevano i nostri pittori del XVII secolo.

Lo apprezzerebbe se in questo momento ricordassimo soprattutto le sue grandi doti, la sua fama mondiale, il suo viaggio trionfale attraverso l’Europa o l’importanza di cui godeva a corte?

Noi, che possiamo definirci suoi amici, lo sappiamo bene. La scienza della storia, di cui conosceva i limiti e che professava con entusiasmo, gli era cara e ha sacrificato molto, gran parte della sua vita per servirla; ma al di sopra di tutto questo, amava i suoi cari e l’amicizia con coloro al cui spirito poteva sentirsi affine. Tutti noi qui riuniti ne siamo consapevoli e gli siamo grati per tutto ciò di cui abbiamo potuto godere grazie a lui e con lui.

Numerose compagnie e grandi entourage non erano l’atmosfera in cui l’unicità della sua personalità preferiva manifestarsi. Era in casa o durante le passeggiate con buoni e collaudati amici che amava esprimersi.

Chi di noi non ricorda conversazioni di natura intima, in cui il silenzio giocava spesso un ruolo importante? Era mite nel giudicare le persone, conosceva la cultura del rispetto e non avrebbe mai toccato ciò che sapeva essere sacro negli altri. Ma sapeva anche infierire, infierire sull’ingiustizia, sulla stupidità e sull’incomprensione, sulla dimenticanza.

E… era coraggioso!

Era in grado di resistere al male, anche quando il suo corpo era già diventato instabile.

Come non ha fatto, quando l’Università di Leida, che amava appassionatamente, veniva attaccata nelle sue fondamenta dal nemico, a usare tutta la forza del suo spirito forte e, nella sua stessa casa, a esortare i suoi compagni della Facoltà di Lettere a stare fermi con lui.

Chi di loro, che ha assistito a tutto ciò, dimenticherà mai le parole che egli rivolse loro in questo momento critico:

Quando si tratterà di difendere la nostra Università e la libertà della scienza nei Paesi Bassi, dovremo dare tutto per questo: il nostro bene, la nostra libertà e persino la nostra vita.

La vita gli fu concessa, ma la libertà invece no.

La prigionia lo ferì profondamente, ma non ne fu amareggiato.

Chi lo andò a trovare più tardi nel suo esilio sul Veluwzoom, in Gheldria, lo ritrovò in uno spirito integro e in tutta la mitezza d’animo che gli era propria.

Lì c’era anche l’amico più fedele della sua vita, il lavoro, e pieno di speranza per il futuro lavorò a ciò che il suo cuore e la sua mente gli dicevano di scrivere per noi come “oeuvre posthurne”.

Il primo febbraio dello scorso anno ci ha lasciato per sempre ed è entrato nell’eternità.

Noi che lo abbiamo seguito sappiamo quanto la consapevolezza di questa eternità fosse profondamente radicata in lui. La relatività delle cose temporali, per quanto potessero riempire la sua mente, era profondamente consapevole, anche se nella sua modesta prudenza vi si avventurava raramente.

Ora gli si aprivano gli spazi di ordine e di armonia che il Signore di tutta la vita aveva preparato per coloro che lo servivano e lo amavano.

Note a Johannes A.J. Barge (1884-1952)